Figura della Napoli di un tempo, a metà strada tra un giustiziere ed un criminale, il guappo ha riempito pagine di letteratura e musica fino alla seconda metà del XX secolo, sottolineandone caratteristiche e sfumature. Il termine “guappo” pare derivare dallo spagnolo guapo, cioè “bello”, ma anche “spavaldo, sfrontato”.
La storia
Il guappo compare sulla scena napoletana sotto gli Aragonesi, ma la sua figura divenne importante durante il vicereame spagnolo, quando lo Stato era considerato un oppressore e gli avvocati e i tribunali come strumenti di tortura nelle sue mani. Fu proprio in quel periodo che, per le strade e per i vicoli, si rese necessaria una figura di uomo prepotente ma giusto che assicurasse l’esistenza di un equilibrio che lo Stato non riusciva a garantire.
Va subito detto che il guappo non è il camorrista, ma una figura di spicco del quartiere, amato dalle donne, temuto dai rivali, legato ad un codice d’onore personale e quasi eroico e cavalleresco. Egli non va contro la giustizia, ma ne applica una completamente personale, anche se, verso la fine degli anni Settanta, il suo ruolo comincia a svanire e il personaggio comincia ad essere assorbito dalle fila di quella stessa camorra contro la quale all’inizio difendeva gli abitanti del quartiere.
Le caratteristiche
Ogni quartiere aveva il suo guappo di fiducia, un uomo a cui rivolgersi per dirimere le dispute e le liti, difendere gli abitanti dai prepotenti e dai bulli, prendere a cuore le sorti delle giovani donne sedotte e costringere i giovanotti a “riparare” al torto. Il guappo vestiva sempre elegante; aveva un aspetto fisico curato, la postura impostata ed una grande sicumera. Spesso si serviva di un bastone da passeggio, che utilizzava anche come arma, e portava con sé un coltello, arma tipica del guappo, che utilizzava per difendersi dai nemici ma anche per dare una lezione alla sua amata quando questa lo tradiva o lo rifiutava. La sua donna, infatti, doveva essere bellissima e forte, ma completamente sottomessa alla volontà del suo uomo. Se la donna risultava caratterialmente più forte del guappo, o anche se questi si lasciava prendere troppo da questa relazione, rischiava di perdere la sua onorabilità e trasformarsi in un guappo ‘e cartone, cioè un finto guappo, che ha soltanto l’apparenza di tale uomo ma non ha il coraggio necessario per esserlo davvero.
Anche il linguaggio del guappo è particolare: con la propria donna utilizza dei termini languidi, sentimentali e passionali, mentre con i propri aiutanti o i propri nemici, il linguaggio utilizzato tende a sottolineare il suo ruolo nella società.
Il guappo nell’arte
La prima menzione di un guappo in un’opera letteraria/musicale è Lo guarracino, tarantella settecentesca in cui un pesce guarracino (noto anche come castagnola) fa la corte ad una sardina in barba all’ex fidanzato, un tonnetto allitterato, che decide di fargliela pagare. Ne nasce una risa tra le tante specie autoctone del golfo di Napoli. Nel testo il tonnetto allitterato, pazzo d’amore, viene paragonato al “guappo Pallarino”, riferendosi quindi al Paladino Orlando dell’Orlando Furioso.
Ma la figura del guappo ha ispirato interi generi artistici teatrali e musicali, come la canzone di giacca, la macchietta o la sceneggiata. Mentre la sceneggiata porta sul palco (o al cinema) un guappo serio e tormentato, alle prese con una situazione drammatica ripartita nella triade isso, essa e ‘o malamente, la macchietta tende a ridimensionare e ridicolizzare il personaggio, rendendolo, solitamente, un pupazzo nelle mani della donna amata, che lo sovrasta e lo fa diventare ‘n’ommo ‘e niente, preso in giro da tutto il quartiere per come viene trattato da lei.
Tanti sono i guappi presenti nell’arte; due famosissimi sono Don Carmine Javarone, guappo prepotente del film “L’oro di Napoli”, nell’episodio con Totò, in cui spadroneggia a casa di un “pazzariello” finché un presunto infarto dà la possibilità al padrone di casa di cacciarlo, e Don Antonio Barracano, famosissimo “Sindaco del Rione Sanità” di Eduardo De Filippo. Ma anche la canzone classica napoletana ha presentato diverse figure di guappo. La più famosa canzone in merito è Guapparia, di Libero Bovio, in cui un guappo innamorato porta una serenata alla sua donna, rimproverandole di averle avvelenato la vita e averlo reso un vile. Altre canzoni simili sono ‘A serenata ‘e ‘Pulecenella, in cui un guappo ha perso totalmente la testa per la sua donna e le porta una serenata di nascosto perché ha paura e vergogna di ciò che il quartiere possa dire sul suo comportamento e la rimprovera di averlo trasformato da guappo a ommo ‘e niente, e ‘O guappo ‘nnammurato, di Raffaele Viviani, che mostra un guappo folle d’amore ma desideroso di vendetta sulla donna che ama ma che lo ha rifiutato.
La guapparia e la camorra
Va sottolineato, come detto prima, che il guappo non condivideva gli scopi della camorra, per la quale soldi e potere erano gli obiettivi principali. Il guappo agiva solo nel suo quartiere come una sorta di giudice e giustiziere. Non si trattava ovviamente di un titolo ereditario, ma si guadagnava “sul campo”, dopo anni di rischi, sangue ed obbedienza alla “suggità”. Una volta raggiunto il rispetto e il timore degli abitanti del quartiere, il guappo ostentava la sua posizione, vestendo in maniera elegante e ricercata, dispensando consigli, amministrando la giustizia (graziando o punendo gli abitanti), essendo il punto di riferimento di tutto il quartiere. Doveva essere e rimanere un uomo tutto d’un pezzo, senza tentennamenti o cedimenti; ecco perché, quando una donna gli faceva perdere la testa, per il guappo era una vergogna e, se questo affronto non veniva lavato nel sangue, il guappo perdeva la sua credibilità.
Gioia Nasti
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