Tre tarantelle famose

Nel Settecento appare, sulla scena musicale napoletana, la tarantella, un ballo popolare con origini antichissime, che diventa canzone acquistando un linguaggio poetico. Se Lucia, una famosa villanella aveva dato questo nuovo impulso, in questo secolo si assiste alla fusione meravigliosa tra il ritmo scatenato della tarantella e i versi poetici di grande qualità ed impatto emotivo, dando così i natali a canzoni di enorme pregio artistico a ritmo di tarantella. È il caso di tre canzoni famosissime quali Cicerenella, Lo guarracino e Michelemmà. Vediamole in dettaglio.

Cicerenella
Cicerenella nasce come filastrocca a doppio senso, con versioni diverse e strofe variabili nel numero e nel contenuto. Infatti, la filastrocca si basa sugli oggetti posseduti appunto da Cicerenella, che ne è la protagonista, e che vengono “gestiti” da lei in modo strano e non convenzionale. Alle strofe che, ognuna, descrivono gli oggetti e il comportamento della protagonista, si alterna il ritornello: “Cicerenella mia, si’ bbona e bella”. Nel testo abbondano le assonanze, che danno il ritmo dei versi, e il carattere giocoso della canzone la rende una delle tarantelle più famose al mondo, interpretata dal Roberto Murolo negli anni Sessanta, dalla Nuova Compagnia di Canto popolare negli anni Settanta e, ai giorni nostri, perfino dal Liberato, il noto e misterioso artista napoletano.
Come si diceva, la tarantella è maliziosa e piena di doppi sensi, che dipingono la protagonista come una donna dalle azioni strambe e surreali.

Testo con traduzione
Interpretazione della NCCP
Interpretazione di Roberto Murolo

Lo guarraccino
Altra famosissima canzone popolare, anch’essa anonima come la precedente, narra di una storia d’amore in fondo al mare tra un guarracino (la castagnola) e una sardella. La storia comincia con delle schermaglie amorose, proprio come accade tra le persone, ma subito si gira a storia a tre: “isso, essa e o malamente”. Non solo, ci troviamo anche una spia, una vecchia ruffiana, gli amici dei tre giovani, gli amici degli amici, i vicini, i conoscenti e tutto il quartiere. Insomma, esattamente quello che accade nei quartieri popolari di Napoli. E la cosa assolutamente fantastica di questo canto è che vengono menzionate una quantità infinita di tipi di pesce. La storia è la seguente: un guarracino, pesce molto comune del Mediterraneo (una castagnola nera) decide di prendere moglie, ma non sa chi scegliere. Vede poi una sardella che canta al davanzale di una finestra e se ne innamora, ma poiché non è pratico in cose amorose, chiede ad una vavosa di fare da intermediaria; la vavosa riesce a convincere la sardella, ma una patella, che aveva assistito a tutta la scena, avverte “l’Alletterato” (il tonno), il suo ex fidanzato, di ciò che sta succedendo e allora si scatena una vera e propria guerra sottomarina che coinvolge più di settanta specie di pesci, divisi in due fazioni, l’una che parteggia per il guarracino, l’altra per l’ex fidanzato della sardella.

La canzone finisce senza che si sappia quale delle due fazioni vince, ma, dato il ritmo serrato della tarantella e il lungo elenco dei pesci citati, il cantastorie chiede una tregua perché gli “manca mo lo sciato” e da bere perché “se secca lo cannarone”. In realtà il cantastorie Pasquale Jovine, secondo la testimonianza raccolta da Roberto De Simone, afferma che un finale a sorpresa ci narra del guarracino che lascia perdere la sardella e infine sposa la vavosa, nonostante questa sia già incinta del capitone. Una storia napoletana, insomma, di accoglienza ed accettazione e di valorizzazione dell’amore spontaneo.

La particolarità di questa canzone è che moti studiosi, biologi marini e storici si sono cimentati nella identificazione delle quasi 82 specie di pesci citati, una diatriba che ha coinvolto grandi personaggi, come Benedetto Croce, a partire dagli inizi del XX secolo, fino ad approdare a pubblicazioni in cui vengono associate molte delle specie citate alle loro denominazioni scientifiche. Purtroppo, non tutti i pesci menzionati hanno trovato un corrispondente in italiano perché, durante i secoli, si è persa traccia del significato in dialetto.

Il testo completo della canzone
Piccolo glossario della canzone
Interpretazione della NCCP
Interpretazione di Roberto Murolo

Michelemmà
Tarantella famosissima, almeno quanto le precedenti, è stata oggetto di ipotesi e congetture intorno all’epoca in cui fu scritta e perfino intorno al suo autore, che alcuni identificano con il grande pittore del Seicento Salvator Rosa, il quale, quando non era impegnato con la sua vocazione pittorica, amava la buona compagnia e le piccole riunioni tra amici, per i quali suonava il liuto e componeva poesie e canzoni.

Si narra che, a vent’anni, il pittore si ritrovasse senza lavoro perché a Roma gli abitanti compravano solo tele raffiguranti soggetti sacri, e lui invece dipingeva paesaggi. Così, l’artista, per farsi conoscere, ideò un espediente: durante il carnevale, arrivò in Piazza Navona su un carro trainato da buoi e in compagnia di alcuni musici e mascherato anche lui, improvvisò un momento di satira e delle canzoni. Fu un grandissimo successo, così ogni sera il pittore continuò a recarsi in Piazza Navona per il suo spettacolo; soltanto l’ultima sera di carnevale, tolse la maschera e mostrò ai romani chi era Salvator Rosa. Ebbene, si dice che Michelemmà sia nata proprio in quest’ambito, anche se non vi sono certezze.

Ma non è solo questo il mistero. Anche il titolo stesso, “Michelemmà”, è di difficile spiegazione. In questo senso, c’è una teoria che dice che il titolo sarebbe una contrazione di “Michela è mia”, teoria suffragata dal fatto che si parla di una ragazza, figlia di notaio, che farebbe morire gli amanti “a dduje a dduje” e che viene definita “scarola”, non nel senso di riccioluta bensì di origine ischitana (iscaròla, contratta in “scarola”). Un’altra teoria invece dice che potrebbe essere il grido di una madre che vede sua figlia rapita dai turchi durante le incursioni: “Michela ‘e mamma”. C’è anche la possibilità, infine, che si tratti della personificazione dell’isola di Ischia, nata in mezzo al mare (da un’eruzione, visto che si tratta di una zona ad alta attività vulcanica), porto in cui sbarcavano i mercanti (li turche nce se vanno a reposare) e con una folta vegetazione (in questo caso la “scarola” starebbe ad indicare i cespugli), un’isola che fa gola a molti e che in tanti vorrebbero conquistare (biato a chi la vence), sia dall’alto della montagna (pe’ la cimma), sia dalla spiaggia (pe lo streppone). Quel che è certo è che la tarantella in questione è cantata ancora oggi e che rappresenta il canto popolare di Napoli ai suoi più alti livelli.

Testo con traduzione
Interpretazione di Roberto Murolo

 

Gioia Nasti
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