I posteggiatori della canzone napoletana (2) Dall’Ottocento all’epoca d’oro

Nell’Ottocento, la canzone napoletana assurge a fenomeno di massa. Già nel secolo precedente, le villanelle avevano lasciato il posto alla canzone d’autore. Il XIX secolo diventa il periodo della canzone napoletana, che segue lo sviluppo della popolazione dal contado alla collina del Vomero e al Corso Vittorio Emanuele, con i suoi riti borghesi, le sue esperienze sociali, le sue abitudini. Di Giacomo, Russo, Nicolardi, E. A. Mario, Murolo sono soltanto alcuni dei nomi più famosi di poeti e musicisti che hanno reso la canzone napoletana classica rinomata in tutto il mondo. Anche i posteggiatori si adeguarono al cambiamento e furono indispensabili per la diffusione delle nuove canzoni. Anche gli strumenti musicali cambiarono: al posto di calascioni e tiorbe, apparvero chitarre, violini, mandolini, violoncelli, trombe e, più tardi, fisarmoniche.

In questo periodo, un famoso posteggiatore fu Antonio ‘o cecato, nato vicino al porto, suonatore di violino; lo accompagnavano musicisti con chitarre, un trombone e un ottavino. Uno di questo conduceva Antonio per le strade trascinandolo con una cordicella attaccata all’asola del panciotto.

Con l’avvento delle copielle, fogli volanti venduti per strada su fogli di carta scadente e stampati con inchiostro sbiadito, le canzoni si diffondevano con una certa rapidità ed erano una preda ambita dai posteggiatori, che contribuirono non poco alla loro diffusione. Agli strumenti sopra citati, si andarono aggiungendo anche dei nuovi, quali il contrabbasso e la viola. Inoltre, fecero la comparsa anche strumenti più rozzi e improvvisati, come i putipù, i triccaballacche e le scetavaiasse. Le voci rimasero la costante nel tempo: voci ricche e piene di sfumature in uno stile che rimase inalterato finché la posteggia ebbe successo.

In questo periodo, i posteggiatori si dedicano quasi esclusivamente alla canzone d’autore per le serenate, per le “mattinate”, serenate mattutine per dare il buongiorno alla propria innamorata, poi feste di ogni tipo: battesimi, fidanzamenti e matrimoni. Ma il loro impiego non era solo quello; molti di loro sostavano davanti ai grandi alberghi o nelle osterie e nei grandi e rinomati ristoranti, come quelli del Borgo Marinaro, per deliziarne i clienti. Alla fine dell’esibizione, i posteggiatori passavano con il piattino, per accettare la “mancia”.

Alla fine dell’Ottocento, si aprì per i posteggiatori una nuova era prolifica e piena di soddisfazioni, con tanti viaggi all’estero e forti guadagni, sebbene nessun posteggiatore riuscì a diventare veramente ricco, forse perché, nonostante fossero i maggiori interpreti, lasciarono la notorietà ai “divi” da cartellone. A loro invece si deve certamente lo sviluppo del cosiddetto “caffè concerto”, una formula che si espanse anche ad altri di attività commerciali, quali gelaterie, birrerie, locali in genere con tavolini all’aperto dove c’erano delle pedane per i concerti. Al caffè concerto i posteggiatori cominciarono ad avere una più ampia visibilità e popolarità.

Di questo periodo, ricordiamo Maria Borsa, che arrivò perfino a Parigi, alle “Folies Bergères”; il terremoto del 1908 la privò dell’unico figlio che aveva e Maria non cantò più. A Santa Lucia, al Caffè Vermouth, si esibivano invece Francesco Colucci, chitarrista e comico, Giulietta Bizzarro, canzonettista, e Federico Albin, suonatore di armonicordo, uno strumento di sua invenzione. Altri posteggiatori famosi in quel periodo erano conosciuti con i loro soprannomi: Peppino ‘o paglietto, Giuvanne pezza all’uocchio, Paolo ‘o zuoppo, Vincenzo ‘o brigante, ma tanti altri trovarono il loro spazio nei caffè concerto, nei ristoranti, fuori agli alberghi. Si trattava però sempre di personaggi che non riuscirono mai ad uscire dall’anonimato. Tranne uno: Gennaro Pasquariello.

Nato nel 1869, cominciò a lavorare facendo il sarto. Il so debutto come posteggiatore avvenne al “Caffè Allocca” in via Foria ed ebbe subito successo. Era bravissimo nel rendere tutte le sfumature possibili ed il pubblico era estasiato dalle sue performances. Si ritirò dalle scene nel 1947 e i soldi che aveva accumulato andarono in fumo a causa dell’inflazione successiva alla seconda guerra mondiale.

Un altro personaggio di grande rilievo fu quello di Elvira Donnarumma. Da bambina già cantava nella birreria dell’Incoronata e girava poi con il piattino per il compenso a fine esibizione. Passò quindi in un teatrino del porto fi o ad arrivare all’Eden. Si esibiva in duetto con Davide Tatangelo, giovane e promettente cantante di quel periodo. Nel 1908 si esibì all’Olimpia di Roma e divenne così la più grande interprete femminile della canzone napoletana classica. Nel 1932 purtroppo si ammalò e, per guarire, fece un voto alla Madonna, ma sfortunatamente non ce la fece. A lei Libero Bovio dedicò la canzone Chiove: è proprio lei ‘a canaria ca pure quanno more canta canzone doce.

 

Le origini della posteggiaIl declino della posteggia

 

Gioia Nasti
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