I posteggiatori della canzone napoletana (1) Dalle origini al Settecento

Il termine “posteggiatori”, che oggi indica un abusivo che aiuta a parcheggiare l’auto, in realtà diverso tempo fa aveva un significato completamente diverso. “Posteggia” deriva infatti da “puosto”, che era, ed è ancora, il luogo occupato da un venditore ambulante, ma soltanto nell’Ottocento ha cominciato ad indicare i suonatori ambulanti, le orchestrine che deliziavano e intrattenevano gli avventori di taverne, ristoranti e caffè e potavano serenate sotto le finestre di donne inaccessibili o traditrici.

Il tutto cominciò nel Medioevo con i menestrelli che popolavano Napoli tra il porto e il Vomero e Castelcapuano. I primi strumenti con i quali questi musici si accompagnavano erano il calascione, una grossa chitarra, la tiorba a taccone, uno strumento suonato con un’apposita penna, la cetra ed altri strumenti a plettro. Le notizie sui musici e i cantori del Cinquecento sono veramente rare; si sa he canti e balli erano l’intrattenimento principale, soprattutto a Napoli con la diffusione delle villanelle. Eppure qualche notizia è giunta fino a noi grazie ad alcuni versi di poeti e scrittori dell’epoca. Ad esempio, sappiamo che c’era una certa Giovannella Sancia, chiamata la Sirena di Napoli per la sua voce meravigliosa. Molto popolare nel Cinquecento, fece un voto religioso e smise di cantare canti profani per dedicarsi alla musica sacra. Un altro esecutore di villanelle fu Gian Leonardo dell’arpa, al secolo Giovanni Leonardo Primavera; era un musicista preparato e frequentava il palazzo di don Carlo Gesualdo. Gian Leonardo cantava composizioni sue o di altri autori spesso in duetto con Cumpà Junno. Quest’ultimo era cieco e univa la sua abilità a quella di altri musici dell’epoca in Rua Catalana, per le vie del Porto e per i decumani. Le voci di questi cantori erano ben impostate, ricche di sfumature ed elaborate nei passaggi.

Il Seicento vide il trasferimento dei posteggiatori dalle strade alle taverne, al di fuori delle quali potevano trovarsi quelli che oggi chiameremmo gli “artisti di strada”: giocolieri, artisti di piazza, scalatori del palo della Cuccagna, venditori ambulanti di ogni genere che davano le voci decantando le loro mercanzie.

Una delle taverne più famose fu senz’altro la taverna del Cerriglio in Rua Catalana. Si innalzava su due piani: in quello superiore si trovava la clientela di un certo livello, tra cui mercanti, ufficiali, ricchi viaggiatori, in quello inferiore, invece, c’erano soldati, prostitute, attori di basso livello, piccoli commercianti. La taverna del Cerriglio divenne quasi una sorta di palcoscenico naturale dove si ritrovavano ogni giorno le persone più disparate tra tavole imbandite, posteggiatori, amori illeciti e coltelli.

Un’altra taverna famosa era la taverna di Crispano nel borgo Sant’Antonio Abate, nell’area chiamata “degli Incarnati”, luogo di incontro di disperati, criminali e prostitute. Il cantante più famoso di questo luogo si chiamava “Muchio”; cantava pezzi piuttosto “coloriti” pieni di umorismo popolare, che terminavano tutti con un ritornello senza senso:

Tubba catubba, la tubba tubbella!
Tubba catubba e lo chiccherichì!

 A metà Seicento, la villanella cominciò a declinare e cominciò, di pari passo, a nascere quella che poi sarebbe diventata la canzone napoletana classica o d’autore. Intanto, faceva la sua apparizione anche l’opera buffa, uno spettacolo musicale, rivolto ad un pubblico misto, che fondeva l’aspetto colto della tradizione popolare. Queste canzoni nascevano per intervallare le scene del melodramma, spesso pesante e difficile da seguire; erano riadattamenti di vecchie canzoni popolari o nuove canzoni ascoltate per strada. I posteggiatori del Settecento erano molto simili ai loro predecessori del secolo prima, ma avevano abbandonato villanelle e strambotti per dedicarsi ad arie nuove, come “Lu guarracino” e “Michelemmà”, come tante altre tarantelle che pure avevano costellato il secolo.

 

L’epoca d’oro della posteggia

 

Gioia Nasti
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