Street food napulitano

Lo street food a Napoli ha le sue origini nel lontano Settecento. Allora, per i nobili turisti del Grand Tour, che vagavano per le strade della città, non era infrequente imbattersi in chiorme di ragazzini averi e miseri, ma gioiosi e chiassosi, che, con la mano alta sul viso, si infilavano in bocca manciate di spaghetti. Erano i lazzari, chiamati all’estero anche “mangiamaccheroni”, simbolo del costume napoletano. Nei vicoli del centro storico, questi giovani usavano trangugiare porzioni di maccheroni direttamente con le mani e all’aperto, visto che le loro abitazioni, se l’avevano, erano troppo piccole per poterci anche mangiare.

Da allora, di strada, in ogni senso, se ne è fatta tanta. Vale la pena di ricordare, ad esempio, la pizza ogge a otto, resa famosa dall’interpretazione di Sofia Loren nel film L’oro di Napoli. Era una pizza fritta che si poteva gustare subito e pagare dopo una settimana, offerta tipica durante gli anni del seco do dopoguerra. Sebbene lo street food napoletano non avesse fama di essere cibo salutare, dagli anni Cinquanta a tutti gli anni Ottanta del XX secolo, si poteva trovare ogni ben di Dio per strada.

Se avete in famiglia una persona anziana, chiedete cos’era ‘o brodo ‘e purpo. Mitico cibo di strada, venduto da ambulanti, era un bicchiere di acqua in cui era stato cotto il polpo e veniva offerto al cliente condito solo con pepe e sale e una ranfa (ossia un tentacolo) come accompagnamento. Altrettanto diffuso era ‘o panino cu ‘a ricotta e ‘e cicule, una fetta di pane sul quale il venditore ambulante poneva uno strato di ricotta di pecora freschissima e una fetta di ciccioli di maiale. Due cibi he ormai non si vedono più in strada. Ciò che invece ancora è piuttosto diffuso è ‘o pede e ‘o musso, un insieme di pezzi di zampe e muso di maiale cotti e da gustare rigorosamente senza olio ma con sale e abbondante limone. Molte macellerie moderne ne hanno una buona quantità che spesso associano alla trippa di vitello, altro cibo tipicamente da strada, servito sia all’insalata che alla romana (con salsa, cipollina e parmigiano).

Oggi, molti di questi cibi non si trovano più per strada, ma altri ne hanno preso il posto, altrettanto saporiti e gustosi. Uno è la pizza a portafoglio, una caratteristica pizza Margherita piegata in quattro parti e gustata mentre si cammina per le stradine del centro storico. Tipicamente, questo tipo di pizza è piuttosto diffuso a via Tribunali e a Spaccanapoli; si possono trovare le pizze in bella mostra fuori le pizzerie, le rosticcerie e i bar in apposite vetrinette termiche in attesa di essere gustate. Nelle rosticcerie si possono anche trovare le meravigliose fritture di mare e di terra, servite nei caratteristici cuoppi, fogli di carta oleata in forma di cono e riempiti come se fossero i corni dell’abbondanza. In quelli di mare si possono gustare gamberi, alici, seppie e calamari; in quelli di terra crocché, frittatine di pasta, pasta cresciuta, arancini e verdura in pastella. In ogni caso, i cuoppi sono un cibo che riporta alla bellezza della vita.

In tutto questo mangiare non va dimenticato il re dello street food napoletano, sua maestà ‘o tarallo ‘nzogna e pepe, una specialità nata nel Settecento, quando, per recuperare lo sfriddo (cioè la rimanenza) degli impasti lievitati, si condivano con sugna e pepe dei pezzi di impasto, si intrecciavano e chiudevano in cerchio e poi si guarnivano con mandorle. Nei primi anni del secolo scorso, il tarallo si mangiava bagnandolo nell’acqua di mare, come dice la canzone Napule ca se ne va; oggi si preferisce accompagnarlo ad una favolosa birra ghiacciata. Provate, non ve ne pentirete!

 

Gioia Nasti
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