Virgilio mago

Noi tutti conosciamo Virgilio, il poeta dell’Eneide, delle Bucoliche, la guida di Dante nell’Inferno e nel Purgatorio, ma quanti sanno che a Napoli il sommo poeta latino era un noto alchimista e mago?

Nato a Mantova, come recita anche il suo epitaffio, nel 70 a.C., si trasferì a Roma e poi a Napoli, dove trascorse gran parte della sua vita, amato dl popolo e considerato da molti più un mago che un poeta. Qui egli fu allievo di Sirone e, alla sua morte, entrò in possesso del suo podere, dove trascorse i suoi ultimi anni. Secondo alcuni biografi medievali, fu lui a consigliare ad Augusto di costruire l’acquedotto del Serino, un sistema di fogne, dei pozzi a Baia e Pozzuoli e una grotta di comunicazione nella collina di Posillipo. Insomma, già da questo si capisce quanto abbia beneficato la sua città di adozione. Forse è proprio per questo amore verso Napoli che il popolo cominciò a considerarlo un “protettore” alla stregua di un santo, che venne scalzato soltanto da San Gennaro, caldeggiato anche dalla Chiesa che voleva estirpare ogni forma di credenza pagana per soppiantarla con quelle cristiane. Ma l’amore per Virgilio i napoletani non l’hanno mai dimenticato, tanto che ancora ne onorano la tomba, posta nel Parco Vergiliano, dietro la Chiesa di S. Maria di Piedigrotta.

A Virgilio furono attribuiti diversi amuleti a protezione della città. Quello più noto è il famoso uovo posto nelle fondamenta del Castel dell’Ovo, che prende appunto il nome da questa leggenda. Si narra che Virgilio abbia messo un uovo sistemato all’interno di una caraffa piena d’acqua in una gabbietta che, finché fosse rimasto intatto, avrebbe protetto la città; qualora si fosse rotto, Napoli sarebbe stata distrutta. Un altro amuleto fu nascosto nelle mura della città: un modellino di Napoli rinchiuso in una bottiglia dal collo strettissimo che avrebbe preservato la città dagli invasori. Se in alcuni casi non funzionò, fu per colpa di una incrinatura del vetro. E poi la mosca d’oro per allontanare un’invasione di mosche letali, un cavallo di bronzo che mantenevano sani i cavalli, un macello dove la carne poteva mantenersi buona per sei settimane, un pesciolino scolpito su una roccia per assicurare una esca sempre abbondante, una statua di un arciere con la freccia puntata verso il Vesuvio perché questo non eruttasse. Peccato che un contadino, un giorno, fece scoccare la freccia riportando il vulcano in attività. Pare che anche le acque della spiaggia Platamonia e di Pozzuoli vennero incantate per poter guarire ogni tipo di malattia e inoltre avrebbe specificato, con delle epigrafi, tutte le proprietà curative delle “sue” acque termali di Pozzuoli.

Mentre visitava l’isola di Megara, Virgilio fu colto da malore e, sentendo approssimarvi la sua fine, che arrivò di lì a poco presso Brindisi, dispose nel suo testamento che il suo corpo fosse portato a Napoli e scrisse perfino l’epitaffio: “Mantua me genuit, Calabri rapuere, tenet nunc Parthenope; cecini pascua rura duces” (Mantova mi ha generato, il Salento mi ha strappato alla vita, ora Napoli conserva i miei resti; ho cantato pascoli, campi, eroi).

La sua tomba, come detto prima, si trova nei pressi della Crypta Neapolitana, quella che si dice abbia fatto costruire in una sola notte da demoni evocati proprio per questo scopo. Accanto al suo sepolcro, dove ora c’è una quercia, pare ci fosse un albero di alloro che prendeva le sue energie proprio dalle ceneri del poeta.

 

Gioia Nasti
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