La lingua napoletana: la nascita del dialetto

Il dialetto napoletano
“Nel IV secolo, i Greci chiamavano Tyrrhenia sia la Campania, sia il Lazio, sia l’Etruria” (GIANNI BAUSILIO, Le origini della lingua napoletana, Napoli, Loffredo, 2002, p. 35). In realtà, durante l’epoca romana, la Campania era essenzialmente rappresentata dal territorio intorno alla città di Capua, punto d’unione tra l’Etruria e la Magna Grecia. Con Polibio, venne poi ad indicare la zona colonizzata dai Greci, cioè più o meno la Campania attuale, tranne le aree del Principato Ulteriore (che comprendeva le province di Avellino e Benevento) e del Principato Citeriore (la provincia di Salerno).
Anche qui il latino parlato dalla gerarchia ecclesiastica ebbe un ruolo fondamentale. Al porto di Pozzuoli, dove lo stesso Paolo sbarcò nel 61 d.C., si scambiavano, oltre alle merci, anche credenze diverse e usi e costumi, in cui il Cristianesimo faceva la parte del leone. Inoltre, la vicinanza di Pozzuoli con Napoli permise al Cristianesimo, poi, di diffondersi nei territori interni grazie alla Via Appia (detta anche Rejna viarum), che collegava Mondragone (allora chiamata Sinuessa) con Benevento, passando per Casilinum, Capua e Caudium (l’attuale Montesarchio), e alla Via Latina, più conosciuta come Domitiana, che metteva in collegamento la stessa Sinuessa con Puteoli, passando per Volturnum, Liternum e Cumae. Man mano, poi, il Cristianesimo si diffuse in tutte le altre zone campane. Il segno più tangibile dell’espansione cristiana fu la nascita di vari monasteri benedettini, tra cui l’Abbazia di Montecassino, la Badia di Cava de’ Tirreni ed il Monastero di S. Vincenzo al Volturno.
I benedettini, oltre a diffondere il Cristianesimo, furono degli importantissimi poli di diffusione della cultura. I documenti, in questi monasteri, cominciarono ad essere redatti in volgare; sono di questo periodo i famosi placiti. Si potrebbe dire che, intorno al 960, potrebbe essere datata l’origine del dialetto campano, con la comparsa del cosiddetto Placito di Capua o Carta Capuana. In realtà, l’evoluzione si può vedere anche in pochi documenti precedenti, databili intorno all’VIII secolo, ma il Placito Capuano occupa una posizione eminente perché il documento viene usato nell’ambito burocratico. Si tratta di un provvedimento giudiziario emesso nel 960 dal giudice Arechisi nel nome del Principe di Capua per dirimere una controversia tra l’Abbazia di Montecassino ed un certo Rodelgrimo sul possesso di alcune terre, rivendicate da tutti e due. Il placito fu pubblicato per la prima volta nel 1734 dall’abate Erasmo Gattola e così diceva:

“SAO KE KELLE TERRE, PER KELLE FINI QUI KI CONTENE,
TRENTA ANNI LE POSSETTE PARTE SANCTI BENEDICTI”

In pratica si tratta di una formula che sancisce l’usucapione, da parte del Monastero, delle terre contese. Questo documento, che ancora risente leggermente del latino, è essenzialmente formato da espressioni volgari frammiste ai dialettismi locali. Inoltre, va detto che di formule simili ne verranno scritte altre, ma che, sicuramente, ve ne erano state tante altre orali, in precedenza. Si nota benissimo che il latino è pressappoco scomparso, rimasto soltanto nel genitivo finale, poiché si tratta di una lingua chiaramente diversa, ma non è ancora neanche una nuova lingua ben formata; è semplicemente uno stato di passaggio, che documenta un’evoluzione linguistica.
Poiché la Campania si trova pressappoco al centro del Mediterraneo, essa fu il punto di scambio principale delle diverse culture che vi si affacciavano, quali quella greca, quella spagnola, quella francese e perfino quella araba. Verso il 1000, il greco cominciò la sua decadenza, lasciando campo libero al latino. Dalle iscrizioni nelle catacombe, ai documenti giudiziari, dagli atti pubblici e privati alla letteratura, tutto veniva scritto in latino.
Nel periodo del ducato, il dialetto napoletano comincia ad avere una sua certa autonomia. I monasteri si aprirono al popolo permettendo il fiorire di una certa cultura. Il periodo di maggior splendore fu quello sotto il duca Giovanni IV, promotore della diffusione culturale e creatore di nuove biblioteche ed opere. Fu però soltanto con i Diurnali di Matteo Spinelli da Giovinazzo che si trovano delle espressioni miste tra latino e volgare e che adombrano alle forme dialettali tipicamente napoletane. Negli anni ’40 del XII secolo, la presenza angioina rende predominante l’influenza del francese. Federico II, con la creazione dell’Università nel 1224, aveva dato un’impronta decisiva per la diffusione e la fioritura della cultura a Napoli e nel Regno. La scrittura beneventana, fino ad allora utilizzata nei monasteri, era stata sostituita dalla littera napolitana, una nuova scrittura a carattere gotico, che non aveva spazi tra le varie lettere, riempiendo così interamente la pagina.
Con la venuta degli Angioini, si perse tutto ciò che gli Svevi avevano creato; la lingua utilizzata fu il francese, che andò ad affiancarsi al latino. Con Roberto d’Angiò, la situazione cominciò a cambiare di nuovo. In quel periodo vennero a Napoli Petrarca e Boccaccio e poi Dionigi da San Sepolcro, Paolo da Perugia ed altri. Inoltre, Roberto creò una biblioteca regia ricchissima di opere filosofiche e classiche.

Fra il 1326 ed il 1343 fu composta la Cronaca di Partenope, pubblicata solo a fine Quattrocento. Si tratta di un’opera storica che, partendo dalla creazione mitica della città di Napoli, passando per la presenza romana in Campania ed arrivando al Medioevo, intervallando la storia con le vite ed i miracoli dei santi (Aspreno, Gennaro, Candida, Patrizia e Paolo). La paternità dell’opera non è ancora certa, ma pare che ognuna delle quattro parti sia stata scritta da un autore diverso: la prima sarebbe stata scritta da un cantastorie sconosciuto intorno al 1326, la seconda, che narra del periodo da Ruggero il Normanno a Roberto d’Angiò, dovrebbe essere opera di Bartolomeo Caracciolo detto il Carafa, la terza sarebbe stata scritta da Giovanni Villani e la quarta da un autore finora sconosciuta. La lingua che viene utilizzata è un linguaggio fatto di espressioni dialettali affiancate a quelle latine.

Gioia Nasti
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