Con l’arrivo degli Angioini, Napoli divenne di fatto capitale, anche per permettere a Carlo d’Angiò di gestire gli incarichi a Roma e in Toscana e i possedimenti in Piemonte e Lombardia. egli si impegnò a rendere dunque la capitale più bella ed efficiente: fece ingrandire il porto, riattivò l’arsenale, rafforzò le mura della città e fece costruire Castel Nuovo (poi chiamato Maschio Angioino), confiscò i feudi dei sostenitori della dinastia sveva assegnandoli ai suoi fedelissimi, riordinò lo Stato con nuovi funzionari e province. L’altro lato della moneta fu però un aggravamento del peso fiscale, soprattutto sulle fasce più deboli della popolazione. questa pressione fiscale fu uno del motivi della rivolta dei Vespri Siciliani; la scintilla fu l’oltraggio subito da una donna da parte di un soldato al vespro del martedì di Pasqua, ma la rivolta si estese ben presto a tutta la Sicilia e vi si aggiunsero anche i nobili che, in realtà, erano rimasti fedeli agli Svevi. Furono loro ad offrire la corona a Pietro III, re d’Aragona e marito di Costanza, primogenita di Manfredi, e a chiedere la separazione dell’isola dal resto del regno.
Pietro, in guerra contro Tunisi, quando seppe dell’offerta, abbandonò l’Africa e sbarcò a Trapani, accettando la corona. Intanto, Ruggero di Lauria, un nobile napoletano fedele agli Svevi, cercava di stuzzicare gli Angioini compiendo scorrerie davanti alle coste della Calabria, finché giunse a Napoli. Il figlio di Carlo comandò di attaccare, ma era un’imboscata: le navi angioine furono speronate, incendiate e affondate. Carlo d’Angiò perse tutta la flotta e anche il figlio e dopo sette mesi morì. la guerra terminò solo nel 1302 con la pace di Caltabellotta, con cui gli Angioini cedevano temporaneamente la Sicilia a Federico d’Aragona, successore di Pietro III, ma il possesso dell’isola non era trasmissibile e, alla sua morte, doveva tornare agli Angioini.
Carlo II regnò per 24 anni. durante i quali il re continuò l’abbellimento della città: finirono i lavori di Castel Nuovo e cominciarono quelli della Cappella Palatina, fu ampliato il porto, furono costruite chiese e conventi: la chiesa di S. Eligio nel 1270, nei pressi di Piazza Mercato, S. Maria la Nova nel 1280, nel 1283 la ricostruzione di una piccola chiesa del XII secolo dove si venerava la Madonna del Carmine, il complesso di S. Domenico Maggiore, la chiesa di S. Pietro Martire, il Duomo, la chiesa di S. Lorenzo Maggiore. Anche Maria d’Ungheria, moglie di Carlo II, contribuì facendo costruire la chiesa di Donnaregina. Alla morte di Carlo II, il regno passò al terzogenito Roberto, il quale fu l’assoluto protagonista della lotta tra guelfi e ghibellini.
Sul trono del Sacro Romano Impero c’era Enrico di Lussemburgo; egli arrivò in Italia nel 1310 per mettere fine alla lotta tra fazioni, ma Roberto d’Angiò, considerato capo dei guelfi, occupò Roma impedendo l’ingresso all’imperatore. Questi mise Roberto al bando dell’impero e patteggiò un’alleanza con il re di Trinacria per scendere su Napoli. Mentre era vicino Siena, però. Enrico morì. Roberto, per il suo aiuto al Papa, fu nominato Vicario Imperiale d’Italia, ma i ghibellini si presero la rivincita infliggendo una dura sconfitta ai guelfi, durante la quale morì anche il fratello di Roberto. Ma il colpo più grande doveva ancora arrivare: nel 1328, morì l’unico figlio ed erede di Roberto, Carlo. Rimase quindi senza eredi considerando anche e pretese al trono di suo nipote, Caroberto d’Ungheria. Poiché suo figlio Carlo aveva avuto due figlie, Giovanna e Maria, Roberto decise di dare in sposa Giovanna ad Andrea, figlio di Caroberto, assicurando così la successione e mettendo fine alle pretese del nipote. Nel 1333, Andrea e Giovanna si sposarono a soli 7 anni; dieci anni dopo Roberto morì e fu sepolto nella chiesa di S. Chiara.
Grazie a Roberto d’Angiò, furono terminate le opere dei suoi predecessori: il Duomo, S. Domenico Maggiore, Donnaregina, S. Lorenzo Maggiore. S. Agostino alla Zecca, il Molo Grande. S. Pietro a Majella, l’Annunziata, la Certosa di S. Martino e perfino Castel S. Elmo. inoltre, durante il suo regno i Seggi (o Sedili) presero la loro forma definitiva e fu creato il Seggio del Popolo (dove per “popolo” ovviamente si intendeva il popolo grasso). giaà durante il periodo della reggenza, il regno non navigava in buone acque; ai 18 anni, Giovanna si ritrovò inesperta, attorniata da pessimi consiglieri e da familiari che non la tolleravano e con un marito che non amava e che le era stato imposto. Suo nonno Roberto aveva disposto, nel suo testamento, che Giovanna regnasse da sola e che, in caso di morte senza eredi, la corona passasse alla sorella Maria. questo scatenò le ambizioni di due cognate, entrambe vedove di due fratelli di Roberto, Agnese di Perigord e Caterina di Courtenay. Agnese fece sposare il primogenito Carlo di Durazzo con Maria, così che se Giovanna fosse morta senza eredi, ik figlio avrebbe potuto regnare. Caterina, invece, cercava di far sposare uno dei suoi figli con Giovanna stessa, ma c’era prima il marito da togliere di mezzo.
L’occasione si presentò quando Andrea e Giovanna erano nel palazzo reale di Aversa; Andrea aspettava le lettere papali per l’incoronazione e i congiurati, basandosi su questo dettaglio, nella notte tra il 18 e il 19 settembre 1345, bussarono alla porta dell’appartamento reale e, fatto uscire Andrea nell’anticamera, lo uccisero. dall’Ungheria arrivarono diversi messaggi che accusavano la regina Giovanna quale mandante; lei, intanto, a dicembre dello stesso anno, partorì un figlio maschio, Carlo Martello. Furono arrestati i colpevoli dell’omicidio ma Luigi d’Ungheria voleva che fosse condannata anche Giovanna, certo della sua colpevolezza. La regina, impaurita dalla foga della vendetta del re d’Ungheria, decise di sposare Luigi di Taranto, ma, vedendo che neanche questo lo fece desistere, pensò di lasciare Napoli, con il tesoro regio e l’amante Enrichetto Caracciolo, seguiti poi da Luigi di Taranto. Carlo Martello invece rimase a Napoli. Luigi d’Ungheria entrò a Napoli e cominciò ad occupare i vari castelli della città; appena seppe che Carlo Martello era rimasto in città, decise di prenderlo con sé e di riportarlo in Ungheria quando dovette lasciare Napoli per colpa della peste e per controllare la situazione istriana.
Fu allora che Giovanna decise di rientrare: le ci vollero cinque mesi per riconquistare tutti i castelli. Ma due disastri la attendevano: il terremoto del 1349 e il ritorno di Luigi d’Ungheria l’anno dopo. Solo l’intervento del Papa portò una tregua: Giovanna e il marito si sarebbero trasferiti a Gaeta e Luigi sarebbe tornato in Ungheria lasciando solo delle guarnigioni a guardia del regno. Conclusa la pace, Giovanna e Luigi tornarono a Napoli. Tornò anche Luigi di Durazzo, che, approfittando dell’assenza del re impegnato in Sicilia, cercò di organizzare intorno a sé i baroni scontenti per impadronirsi della corona. Nel 1361, Luigi di Durazzo, privato dei suoi mercenari, fu rinchiuso prima a Monte S. Angelo, sul Gargano, e poi a Castel dell’Ovo, dove morì. L’anno dopo morì anche Luigi di Taranto e Giovanna sposò in terze nozze Giacomo di Maiorca, che, a sua volta, morì nella guerra in Spagna, lasciando la regina a gestire la cura delle terre occupate in Sicilia, la repressione del brigantaggio, la ribellione del duca d’Andria e le richieste del re d’Ungheria su Carlo di Durazzo, possibile successore al trono, non essendoci altri eredi diretti. Luigi d’Ungheria riuscì a far sposare Carlo di Durazzo con Margherita di Durazzo, figlia di Maria d’Angiò, sorella di Giovanna. La regina Giovanna sposò in quarte nozze Ottone di Brunswick, ma non associò il marito al trono neanche questa volta. Morto Papa Gregorio XI, si scatenò una guerra tra papi e antipapi che coinvolse anche Giovanna. Ebbe inizio quindi la guerra civile tra papisti e antipapisti, che poi nascondeva in realtà quella tra Durazzeschi e Angioini. Dopo una lunga resistenza, la regina Giovanna si arrese a Carlo di Durazzo che entrava in città da vincitore.
Gioia Nasti
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