Il periodo dei Durazzeschi: da Carlo III a Ladislao

Carlo III di Durazzo e sua moglie la regina Margherita ebbero tre figli: Giovanna, Ladislao e Maria. Ladislao fu nominato Duca di Calabria in quanto erede al trono e Margherita venne incoronata regina nella chiesa dell’Incoronata. Intanto, Luigi d’Angiò, che si proclamava legittimo erede della regina Giovanna, organizzava l’esercito per riprendersi Napoli. Ad ottobre del 1382 giunse nei pressi di Maddaloni, eppure non attaccò. Questo indugio gli fu fatale perché permise a Carlo di Durazzo di organizzarsi a sua volta. Quando decise finalmente di attaccare, ma, invece di combattere fino alla fine e conquistare la città, decise di stabilirsi nel Principato di Taranto.

Carlo però non si sentiva tranquillo con il suo nemico alle porte del regno e, radunati gli uomini, nell’aprile 1384 marciò verso Bari per attaccare Luigi. Non ci fu una vera e propria battaglia; Carlo decise di aspettare gli eventi, anche perché l’esercito del suo nemico era sempre più decimato dalla peste. A settembre, colpito anch’egli dalla stessa malattia, Luigi morì lasciando un esercito stanco che, ben presto, cominciò a disperdersi.

Intanto, il papa Urbano VI, che appoggiava Luigi d’Angiò, entrò in aperto conflitto con la regina Margherita e decise, dal feudo del nipote a Nocera, di scomunicare fi no alla quarta generazione Carlo e sua moglie. Si scoprì, in seguito alla denuncia dello stesso Carlo, che Urbano VI era in combutta con alcuni baroni per riconoscere Luigi II d’Angiò come legittimo re di Napoli. Folle di rabbia, Urbano VI ribadì la scomunica e Carlo di Durazzo rispose mettendo una taglia sulla sua testa.

A luglio, approfittando del ritorno a Napoli del re, papa Urbano VI riuscì a lasciare il feudo di Nocera, aiutato da alcuni suoi sostenitori, ma Carlo non fece nulla per contrastarlo, preoccupato com’era dalle notizie che provenivano dall’Ungheria: il vescovo Paolo di Zagabria, alla testa di alcuni nobili, propose di offrire la corona a Carlo di Durazzo al posto di Maria, figlia di Luigi il Grande. Egli dapprima aveva pensato di rifiutare per non offendere il suo benefattore, poi decise di accettare. Una volta arrivato a Buda, si rese conto che la nobiltà effettivamente non voleva che Maria regnasse, benché allora il regno fosse tenuto dalla vedova di Luigi; così, Carlo si autonominò governatore e, una volta ottenuti tutti i poteri, obbligò Maria a dichiararsi inadatta a governare e a trasferire a lui il trono. Allora, la regina madre, Elisabetta, vedova di Luigi, si accordò con il suo amante Nicolò di Gara per uccidere Carlo. Lo invitò nei suoi appartamenti e, quando Nicolò uscì a sorpresa già armato di spada, colpì Carlo in testa ferendolo gravemente. I cavalieri napoletani approfittarono per fuggire via mare, il re fu trasportato nel castello di Wissegrad dove morì qualche giorno dopo.

Pochi mesi dopo, mentre Elisabetta e Maria, accompagnate da Nicolò di Gara, si dirigevano verso una località estiva, furono attaccati da un accanito sostenitore dei Durazzeschi che decapitò i responsabili della morte di Carlo e mandò le teste a Napoli. Benché la regina facesse intendere che il re era ferito e non morto la notizia della sua dipartita ben presto si diffuse e i suoi antichi nemici tornarono alla ribalta. I nobili di Nido presero l’iniziativa, spalleggiati dal popolo, che desiderava un alleggerimento fiscale. A novembre 1386 i seggi dei nobili e quello del popolo si riunirono per eleggere otto rappresentanti che vigilassero sul buon governo del regno. Margherita dovette riconoscere l’autorità degli otto rappresentanti a malincuore. Essi le dissero chiaramente che non era gradita come regina ma che l’avrebbero accettata come tutrice del figlio Ladislao.

Nel 1387 gli Angioini comparvero in vista di Napoli, comandati da Ottone di Brunswick, ultimo marito della regina Giovanna. La battaglia decisiva ebbe luogo davanti alla chiesa di Santa Chiara tra gli angioini e i sostenitori del papa. I papisti furono sconfitti e gli angioini bruciarono il seggio dei nobili per punirli della loro partecipazione.

Gli otto rappresentanti trovarono infine un compromesso con Ottone, riconoscendo il pretendente angioino come legittimo erede al trono e costringendo Margherita e i suoi figli ad imbarcarsi per Gaeta; infine, gli angioini operarono una pulizia totale dei sostenitori dei Durazzeschi, condannandoli a morte o alla prigione.

All’apparenza, quindi, la conquista angioina aveva avuto successo, quando un evento imprevisto parve volgere la situazione a favore dei Durazzeschi: la morte di Urbano VI. A lui successe Bonifacio IX, che annullava la scomunica dei Durazzeschi e proclamava Ladislao re di Napoli, incoronandolo a Gaeta stessa a magio del 1390. Il giovane fu poi dato in matrimonio a Costanza di Chiaromonte, grazie alle manovre di Margherita, che cercava in ogni modo di limitare le azioni di Luigi II d’Angiò. Ma il giorno delle nozze gli angioini riuscirono ad ottenere rinforzi e a conquista Ischia, Massa e Positano. La guerra tra i due durò a lungo, inframmezzata dalla morte di Clemente VII, sostenitore di Luigi, dalla perdita delle Puglie e dal passaggio del conte di Lecce e dei Sanseverino falla parte di Ladislao. Finalmente, il re entrò nella capitale il 10 luglio 1399, mentre Luigi fuggiva verso la Francia.

Ladislao fu generoso con i suoi oppositori, almeno con quelli che gli giurarono fedeltà, perdonandoli e perfino ricompensando chi gli si sottometteva, concesse privilegi al popolo, abolì gli otto rappresentanti dei sedili. Ripudiata la prima moglie tre anni dopo il matrimonio, Ladislao sposò Maria di Lusignano, figlia del re di Cipro sotto consiglio del papa, ma purtroppo ne rimase vedovo appena due anni dopo, senza avere un erede. A Napoli erano in contrasto gli Orsini e i Sanseverino, ma Ladislao era a Roma per indurre il Conclave ad eleggere un papa a lui favorevole, Innocenzo VII. Tornato a Napoli, scoprì che i Sanseverino avevano cercato n accordo con Luigi d’Angiò, così fece catturare i nemici e li fece uccidere. Restava l’Orsini a Taranto, così con l’esercito si mise in marcia per fronteggiarlo. Sul cammino, venne a sapere che i Raimondo Orsini era morto d affrettò il suo arrivo a Taranto, ma la moglie, Maria d’Enghien, organizzò una stenua difesa della città, aspettando l’aiuto di Luigi d’Angiò. Ladislao allora usò una nuova strategia: propose a Maria d’Enghien di sposarlo per mettere fine alla battaglia e lei accettò.

Su fronte della Chiesa, Innocenzo VII era morto e il su successore, Benedetto XIII, aveva giurato di porre fine allo scisma interno della Chiesa. Per poter procedere, tanto il papa quanto l’antipapa avrebbero dovuto dimettersi, ma la decisione sul luogo dell’incontro tra i due per poter dirimere la questione era sempre rimandata, anche per colpa di Ladislao che non voleva perdere il supporto del nuovo papa. A giugno 1409 il concilio fu aperto a Pisa, sia il papa Benedetto XIII che l’antipapa Gregorio XII furono dichiarati decaduti e fu eletto un nuovo papa, Alessandro V. Lo stesso giorno, Firenze di alleò con Luigi d’Angiò, che si imbarcò a Marsiglia e giunse a Pisa per incontrare il nuovo papa.

Ad ottobre, le forze legate ad Alessandro V, Luigi d’Angiò e Firenze vinsero la resistenza dei napoletani ed entrarono a Roma. Alla morte di Alessandro V, un nuovo papa fu eletto con il nome di Giovanni XXIII; nello stesso giorno, Luigi d’Angiò perse tutti i rifornimenti e i fratelli del pontefice furono catturati. Ladislao cercò di isolare Luigi d’Angiò ma questi, alla testa di un esercito, marciò su Napoli. A maggio 1411 i due eserciti si scontrarono nella pianura di Roccasecca. Fu la prima sconfitta campale di Ladislao, ma quando questi si diresse verso la fortificata S. Germano, Luigi non volle seguirlo e quando finalmente si decise a farlo, si ritrovò davanti un esercito ben organizzato che si vendicò subito della sconfitta di Roccasecca. La ritirata dell’angioino e la sua partenza e l’occupazione di Civitavecchia convinsero anche Giovanni XXIII ad intavolare delle trattative per la pace.

Ad agosto 1414, in seguito ad un malore mal diagnosticato, Ladislao morì.

 

Gioia Nasti
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