Il regno aragonese: da Alfonso il Magnanimo a Ferrante

Quinto re della dinastia aragonese ma primo re di Napoli, quando ne prese possesso, Alfonso trovò la città in uno stato pietoso: i feudatari non obbedivano più alla corona, i baroni si ribellavano apertamente al re, le finanze erano pressoché inesistenti e la miseria dilagava poiché la guerra aveva decretato il declino del commercio, dell’artigiano e perfino dell’agricoltura. Ma Alfonso, che fu poi soprannominato il Magnanimo, non si perse d’animo e restaurò gli acquedotti, bonificò le paludi, fece ripavimentare le strade, fece rifare Castelnuovo, aggiungendo l’Arco di Trionfo. Inoltre, da amante della cultura, egli chiamò a corte i grandi letterati del tempo, tra cui Antonio Beccadelli, detto il Panormita, che creò l’Accademia Antoniana, che poi diventerà l’Accademia Pontaniana, dal nome del suo successore, Giovanni Pontano. Alfonso governò per 16 anni, regalando a Napoli tranquillità e stabilità. Gli unici eventi degni di nota furono i terremoti di dicembre 1456, che danneggiarono diverse chiese, ed alcune epidemie. Il 27 giugno 1458, a 65 anni, Alfonso I morì a Castel dell’Ovo, lasciando la Sicilia, la Sardegna e l’Aragona al figlio Giovanni e il regno di Napoli al figlio naturale Ferrante.

Ferrante aveva 23 anni alla morte del padre, che l’aveva fatto riconoscere quale suo successore dal Parlamento Napoletano, dai Baroni del regno e dal papa Eugenio IV. I baroni, però, non erano contenti del nuovo re, che chiamavano “bastardo” e si rivolsero a Giovanni d’Angiò, figlio di Renato, perché prendesse il trono. Nel 1459, Giovanni sbarcò a Castelvolturno e raggiunse i baroni ribelli in Puglia. La ribellione arrivò nella Terra di Lavoro e Ferrante, accorso per domarla, subì una grave sconfitta tra Sarno e Nola. I baroni non seppero approfittare della sconfitta del re e questi, dopo essersi riorganizzato, riuscì a dividerli e a sconfiggerli. Nel 1464, con la battaglia di Ischia, Ferrante metteva fine alla contesa, costringendo Giovanni d’Angiò ad abbandonare il regno.

Ferrante si dedicò quindi a riorganizzare il regno; nel 1466 emanò le “Prammatiche”, che disciplinavano il commercio, proteggevano l’artigianato e regolavano le imposte. Con queste leggi, egli mostrava chiaramente la sua predilezione per la classe media, invece che la nobiltà, che aveva un’importanza vitale e fondamentale nella vita del regno. Passò quindi all’ampliamento della città, con la ristrutturazione del Castello del Carmine e della Porta del mercato, con la creazione della Porta Nolana e della Porta Capuana. Inoltre, rientrarono nell’area urbana diverse zone prima escluse dalla cinta muraria ed anche una vasta estensione di terreno, di proprietà del conte di Maddaloni, Diomede Carafa, che fu suddiviso in lotti e dato ai cittadini per costruire abitazioni e popolare l’area. Importanti furono anche le alleanze con le casate italiane tramite i matrimoni dei suoi figli: il primogenito ed erede al trono Alfonso sposò Ippolita Sforza, Eleonora sposò Ercole d’Este e Beatrice divenne regina d’Ungheria, sposando Mattia Corvino. Infine, la figlia naturale Maria sposò un nipote del Papa, Antonio Piccolomini.

A luglio 1480, la flotta turca sbarcò sulle coste salentine; gli ottomani assediarono Otranto e, dopo due settimane di assedio, la conquistarono, facendo strage degli abitanti. Alfonso, duca di Calabria, tornò a Napoli per scendere a Otranto, dove combatté per un anno intero prima di riuscire a sferrare l’attacco decisivo, che fu possibile grazie alla sopravvenuta morte del sultano Maometto II.

 

Gioia Nasti
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