27 Gennaio, Giorno della Memoria

Il 27 gennaio 1945 le truppe dell’Armata Rossa entrano nel campo di Aschwitz e si trovano davanti uno spettacolo che mai avrebbero voluto vedere e che non dimenticheranno più: mucchi di vestiti e di scarpe, di ogni taglia e misura, migliaia di oggetti personali, baracche in cui si ammassavano circa 7000 prigionieri superstiti (del milione e trecentomila che vi erano entrati), che una volta erano esseri umani e che ormai erano diventati rinsecchiti fantasmi di se stessi, camere e gas e forni crematori e perfino 8 tonnellate circa di capelli umani imballati e pronti ad essere trasportati altrove. Solo ad Auschwitz, senza contare gli altri campi disseminati per l’Europa a quel tempo, i nazisti sterminarono più di un milione di ebrei.

Il Giorno della Memoria fu istituito ufficialmente il 1° novembre 2005, durante la 42a riunione plenaria dell’ONU e il 27 gennaio 2006 fu celebrata per la prima volta. Da allora, si sono susseguite, ogni anno, iniziative che ricordano l’Olocausto e il periodo forse più buio della storia dell’Europa. Da allora, però, nonostante le belle intenzioni, manifestazioni ed iniziative, poco o quasi niente è cambiato perché quello che accadde durante il nazismo non si verifichi mai più. Spesso, purtroppo, si tratta solo di parole di circostanza e iniziative di facciata. Perché quando si tratta di mettere in pratica ciò che si professa a parole è tutta un’altra storia.

A questo proposito, è da un po’ che mi torna in mente la questione dei profughi siriani ammassati contro un muro e del filo spinato per impedire loro di andare oltre. In fondo, anche loro sono relegati, questa volta al di fuori, al di là di determinati confini; sono gli ultimi, gli indesiderati, quelli additati come colpevoli di venire ad invadere le nostre terre, a rubare il nostro lavoro, ad occupare le nostre case.

In fondo, nonostante si affermi il contrario, la storia non ha mai insegnato nulla veramente. Basti pensare alle pulizie etniche che si sono susseguite negli anni dopo quella degli ebrei, a cominciare dalle Foibe (11.000 vittime tra il 1943 ed il 1945), passando per la guerra civile jugoslava (250.000 vittime tra il 1992 e il 1995) fino ad arrivare al genocidio dell’etnia Tutsi (circa un milione di morti) ad opera dell’etnia Hutu in Ruanda nel giro di soli 100 giorni.

Quindi ben vengano le manifestazioni, i ricordi, le narrazioni, i film, le iniziative e quant’altro possa tenere vivo il ricordo per non dimenticare ciò che è stato perché l’aberrazione non si ripeta, ma ci si ricordi di tutto questo non soltanto il 27 gennaio, ma ogni volta che l’umanità scivola verso il baratro e c’è bisogno non di una commemorazione, non di un film, non di belle parole, ma di azioni vere e profonde.

Gioia Nasti
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