La janara

Avete mai sentito dire ad una donna “si’ ‘na janara”? non è un bel complimento; anzi, è un modo tutto napoletano di etichettare quella stessa donna accusandola di essere acida e antipatica. Ma chi era in realtà la janara? Nelle credenze popolari, altro non era che una strega, soprattutto legata al mondo contadino. Il nome sembra derivare dal termine “Dianara”, cioè sacerdotessa di Diana. Secondo la leggenda le janare si riunivano sotto un noce lungo le rive del fiume Sabato, in quel di Benevento, dove tenevano i loro sabba durante i quali adoravano il diavolo sotto forma di cane o caprone.

 

La janara usciva di notte e spessi si infilava nelle stalle per poter prendere una giumenta e cavalcarla tutta la notte; durante la cavalcata, era solita fare delle trecce alla sua criniera, lasciando così una prova del suo passaggio. Talvolta succedeva che la giumenta, stanca per la cavalcata notturna, morisse per la fatica. I contadini allora, per evitare che le povere bestie fossero rapite, ponevano un sacco pieno di sale o una scopa di miglio capovolta davanti alla porta perché la janara non resisteva al desiderio di contarne i grani o i fili tutta la notte fino all’alba, quando la luce del sole la costringeva a fuggire.

 

La janara veniva anche accusata di provocare una sensazione di soffocamento che si provava durante il sonno, che si attribuiva alla sua mania di saltare sul malcapitato, cercando di soffocarlo. Secondo una credenza casertana, poiché le janare altro non erano che donne del vicinato, c’era un rituale ben preciso per identificarle: bastava riempire un bicchiere con del sale e gettarne un po’ a terra dicendo: “Vieni pe’ sale” e, senza dubbio, il giorno dopo la donna si sarebbe presentata a chiedere appunto un bicchiere di sale. Invece, per poterla catturare, bisognava riuscire ad afferrarla ‘per i capelli, il suo unico punto debole. Una volta catturata, la janara avrebbe chiesto: “Che tiene mmano?” A questa domanda si sarebbe dovuto rispondere “Fierro e acciaio” in modo che lei non potesse liberarsi, perché rispondendo invece “’E capille” la janara sarebbe riuscita a fuggire dicendo “E je me ne sciulio comme a ‘n’anguilla”.

 

Molte sono le storie raccontate sull’esistenza delle janare, ognuna delle quali sottolinea una caratteristica di queste streghe (l’unguento per diventare incorporei, il sale, i cavalli, i mariti), ma quella che più intriga è quella legata alla identificazione delle stesse: per riconoscerle quando sono nella loro sembianza umana, è sufficiente andare alla messa della Veglia di Natale; una volta terminata la funzione, le janare saranno le ultime ad uscire dalla chiesa, condannate ad assistere alla funzione più sacra di tutta la cristianità.

Ovviamente questi metodi poco attendibili, utilizzati per identificare le janare, portarono, durante la caccia alle streghe, ad uccidere in maniera crudele ed assurda centinaia di donne innocenti, finché, nel XVIII secolo, Ludovico Antonio Muratori finalmente spiegò che le streghe non erano altro che donne con malattie psichiche.

Gioia Nasti
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