Sant’Antonio, il pane e le catene

Vista la grande devozione per San Gennaro, sembra strano che un altro santo possa mai aver preso il suo posto come patrono della città. Eppure, nel periodo successivo alla nascita della Repubblica Napoletana, Sant’Antonio di Padova divenne il patrono di Napoli per quindici anni, dal 1799 al 1814, perché San Gennaro “aveva osato” sciogliere il suo sangue il giorno dopo della nascita della Repubblica, come ad avvalorare la sua validità. San Gennaro fu accusato di giacobinismo e messo da parte in favore di Sant’Antonio.

Benché sia conosciuto in tutto il mondo come Sant’Antonio da Padova, la sua città natale era un’altra.

La sua vita
Antonio nacque a Lisbona il 15 agosto 1195 con il nome di Fernando Martins de Bulhoes. Divenne sacerdote giovanissimo e viaggiò e predicò in tutto il Mediterraneo. Era diretto in Africa, quando la sua imbarcazione naufragò ed egli si ritrovò sulle coste di Messina, da cui risalì l’Italia fino a giungere prima ad Assisi e poi a Forlì. Qui i suoi confratelli scoprirono le sue doti di predicatore. Conobbe personalmente San Francesco, il quale lo inviò in Francia per frenare l’ascesa dei catari. Si trasferì quindi a Bologna ed infine a Padova, dove morì il 13 giugno 1231 all’età di soli 36 anni. Papa Gregorio IX lo proclamò santo appena 11 mesi dopo.

Il 13 è il numero che ricorre frequentemente nella storia di questo santo: il giorno della sua morte, le grazie che egli compie ogni giorno, invocazioni che gli vengono rivolte per ottenere un miracolo e perfino i pani che vengono offerti nel giorno della sua festa, da spezzare in parti più piccole e distribuire al popolo come segno di condivisione.

Sant’Antonio viene spesso rappresentato con un giglio in mano, simbolo della purezza dell’anima e del corpo, e con il Bambino Gesù in braccio. Per questo motivo, è ritenuto protettori dei bambini.

Il pane di Sant’Antonio
Questa del pane è una tradizione legata ad un miracolo che il santo compì su un neonato. Si narra, infatti, che un bambino di soli venti mesi fosse annegato a Padova in una tinozza e che la madre, trovatolo morto, avesse cominciato a piangere e a invocare il santo perché intervenisse, promettendo di donare il peso del bambino in grano per i poveri. Da quel momento nacque la tradizione del pane benedetto da offrire ai poveri in cambio di protezione per i figli. Il giorno della sua festa, infatti, nelle chiese a lui dedicate, dopo la messa in suo onore, vengono benedetti dei piccoli pani, che poi sono spezzati e distribuiti al popolo, portati a casa e consumati in famiglia.

Le catene di Sant’Antonio
Un fenomeno a parte è quello delle famigerate catene di Sant’Antonio, un sistema di diffusione messaggi a pioggia che consisteva, e tuttora consiste, nell’inviare ad un certo numero di persone un messaggio e chiedendo poi loro di fare altrettanto, moltiplicandone la diffusione. Ma perché queste catene si chiamano così? È semplice: all’inizio del secolo scorso le lettere inviate a mezzo posta iniziavano con “Recita tre Ave Maria a Sant’Antonio” e proseguivano poi elencando le fortune che sarebbero derivate dopo la condivisione di questo messaggio o le sfortune e le disgrazie nel caso la catena fosse stata spezzata. Fino a circa gli anni Ottanta, la persona destinataria di queste lettere era costretta a ricopiare il messaggio a mano e poi ad inviarlo via posta ad altrettanti destinatari. Con l’avvento delle fotocopiatrici la cosa fu semplificata e con quello del fax la diffusione divenne immediata e capillare. Ai nostri giorni, queste catene ancora esistono; molto spesso non sono più dedicate ai santi e non arrivano più per posta ma sfruttano i nuovi mezzi di comunicazione: le pagine social, i messaggi, Whatsapp, ma sostanzialmente il concetto e il messaggio è rimasto lo stesso.

 

Gioia Nasti
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