Napoli sotterranea (2): Foria e la Sanità

Poco più avanti rispetto al centro storico troviamo un quartiere “groviera”: è la zona della Sanità, probabilmente la zona più spurtusata (cioè piena di buchi) di Napoli. A poca distanza dal Museo Archeologico troviamo una vasta cavità sotto Piazza Cavour, nella quale, dal secondo dopoguerra in poi, è stato scaricato di tutto. Oggi liberata e fruibile, offre un percorso che parte dal civico 140 della suddetta piazza, alle spalle dei giardinetti e a metà strada tra le stazioni delle due linee della metropolitana. È possibile visitare, negli ambienti, un’esposizione di utensili legati alle attività dei “cavamonti” e dei “pozzari”, come lucerne, calibri di vetro, scope, picconi, scalpelli, brocche ed altro, ma anche una mostra sulle riggiole (piastrelle) del XVIII e XIX secolo.

In questa zona è anche possibile trovare gli antichi ipogei greco-romani, molti dei quali però sono stati sepolti sotto la cosiddetta “lava dei Vergini”, cioè le annuali alluvioni causate dall’intasamento delle fogne che spazzavano e devastavano il quartiere.

Altri sepolcreti sono stati scoperti in Vico Traetta (una camera centrale ed altre laterali con sarcofagi lungo le pareti), nella zona di Posta S. Gennaro (ipogeo degli Eunostidi, dove fu ritrovata una lapide in onore di di Leucia della Fratria appunto degli Eunostidi), sotto il Monastero dei Vergini (sette sarcofagi in una stanza rettangolare di 15 metri), in Via dei Cristallini (ipogeo con quattro camere contigue ma indipendenti, ricco di iscrizioni e decorazioni), in Via S. Maria Antesaecula (di cui sono rimaste solo poche tracce) e in Via Foria (due tombe del IV secolo a.C.). non dimentichiamo che questa è anche la zona dell’immenso Cimitero delle Fontanelle e delle Catacombe di S. Gennaro.

Procedendo per Via Foria verso Piazza Carlo III ci si imbatte in altre cavità, ipogei o parto degli acquedotti riutilizzati poi come ricoveri durante la seconda guerra mondiale. A Piazza Carlo III si aprono poi le Catacombe di S. Eframo, le meno conosciute della città.

A poca distanza dal Cimitero delle Fontanelle, si trova un’altra cava, utilizzata di sicuro come cava di tufo durante il periodo borbonico, come sappiamo dalla data incisa, cioè 1763. La cava si trova a Materdei ed aveva, prima che la attraversasse la metropolitana, un’ampiezza di circa 20.000 metri. L’accesso è da Via Alessandro Telesino e viene utilizzata anche come garage, dopo essere stata usata come discarica autorizzata dei materiali di risulta. Dopo l’ultima guerra, in cui fu usata come rifugio antiaereo, la cava fu trasformata in discarica e fu liberata solo negli anni Novanta del XX secolo come parte di un progetto per la creazione di un passaggio che doveva collegare la stazione di Materdei con il rione Sanità.

Lungo la strada che dalla Sanità sale verso i Colli Aminei si trova invece la cava di tufo più grande in assoluto: 112.000 metri quadrati di vuoto utilizzato nelle maniere più disparate fino agli inizi del XXI secolo. La cava fu “scoperta” nel 1972, quando furono effettuati i sondaggi geologici in previsione dei lavori della Tangenziale. Nel “buco” fu versata una colata di calcestruzzo finché si scoprì che all’interno c’erano vetture di ogni tipo che venivano travolte dal cemento. Era troppo tardi: auto, furgoni e altri mezzi erano stati già ricoperti fino ai finestrini e sarebbero rimasti così bloccati quasi come simbolo del mondo moderno. Salendo verso Capodimonte, incontriamo ancora due zone degne di nota: una è un lungo canalone naturale che, dal Nuovo Policlinico, scende per Via S. Rocco e Via Miano fino ad arrivare ai Ponti Rossi. Le cave, ampie circa 100.000 metri quadrati, sono restate a lungo coperte dalla fitta vegetazione naturale e dalle tante discariche abusive. Si tratta di un complesso di circa undici ambienti (almeno quelli censiti), di cui solo tre sono state utilizzate (una fonderia, un deposito di materiali da costruzione e un parcheggio e officina per autobus). L’ultima che fu scoperta durante gli anni Ottanta a seguito dei lavori per la metropolitana collinare fu un ambiente di più di 30 metri di altezza e di 270 metri di lunghezza.

L’altra zona è quella delle cave Reichlin a Capodimonte. Il serbatoio, scelto come punto di arrivo che dal Serino l’acquedotto doveva portare l’acqua in città, è formato da quattro vasche lunghe 260 metri e larghe e alte 10 metri. L’esigenza di utilizzare questa cava come serbatoio per l’acqua cittadina fu dettata dall’epidemia di colera del XIX secolo e dalla necessità di proteggere l’acqua da vie di contagio e da malintenzionati e di avere un luogo che riuscisse, per conformazione geologica, ad avere un’escursione termica minima e una buona pressione per rifornire la città bassa.

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Gioia Nasti
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