Le anime pezzentelle (2)

La chiesa di S. Maria del Purgatorio ad Arco

Conosciuta come la chiesa “d’’e cape ‘e morte”, cioè dei teschi, è forse uno degli edifici più macabri della città: non solo la facciata, ma anche i quattro cippi di piperno che si trovano all’ingresso della chiesa sono decorati con teschi e tibie, a testimonianza del fatto che questa chiesa è particolarmente legata al culto dei morti. Inoltre, i teschi sui ceppi sono estremamente lucidi, perché i napoletani sono soliti “accarezzarli” come gesto di buon augurio e qualcuno più scaramantico vi infila perfino le dita a corna (indice e mignolo) nelle orbite.

All’interno di questa chiesa si trova una cappella sotterranea grande quanto la chiesa stessa, un luogo buio e spoglio  che presenta numerose nicchie sulle pareti che contengono teschi con fiori e lumini. Il più “famoso” di questi è quello di Lucia, decorato con un velo da sposa. La leggenda narra che si tratti del teschio di Lucia D’Amore, data in sposa dal padre, il principe Domenico, al marchese Giacomo Santomago contro la sua volontà e morta (di dolore, annegata o suicida?) poco dopo le nozze. Anche in questa chiesa fu vietato il culto dei teschi impedendo l’accesso ma il popolo si ribellò e il cancello d’ingresso fu forzato e il culto continuò.

Il Cimitero delle Fontanelle

Il luogo però più caratteristico de culto delle anime pezzentelle è sicuramente il luogo che si trova nella cava delle Fontanelle, nel quartiere Sanità, e che nel Seicento, a causa della peste prima e di eruzioni del Vesuvio e carestie poi, fu trasformato in un vero e proprio cimitero per la necessità di trovare una fossa comune abbastanza capiente per tutti i cadaveri. Una seconda ondata di corpi andò a riempire il cimitero nella prima metà dell’Ottocento, con l’epidemia di colera. Dopo questo evento, il cimitero rimase abbandonato fino a fine Ottocento, quando Don Gaetano Barbati riordinò le ossa con l’aiuto di alcune popolane e, fino agli anni Settanta, fu un punto di culto fondamentale. Come gli altri due luoghi, anche questo fu un centro nevralgico per il culto delle anime pezzentelle e ne seguì la sorte di chiusura per feticismo; al popolo devoto alle anime del Purgatorio fu permessa solo una messa di suffragio una volta al mese e una processione il giorno dei morti (il 2 novembre). Dal 2010, invece, è diventato essenzialmente una meta turistica.

Oltre al sogno, mezzo privilegiato del contatto tra il mondo dei morti e quello dei vivi, anche il sudore del teschio era considerato un segno positivo nel Cimitero delle Fontanelle. Infatti, se il teschio era umido (in realtà questa caratteristica era dovuta all’umidità della cava) questo “sudore” era un segno tangibile del fatto che le preghiere del vivo danno refrigerio all’anima del defunto; per contro, la mancanza dell’umidità significava che gli sforzi e i sacrifici del vivo non erano sufficienti.

Sono tre i teschi famosi nel Cimitero delle Fontanelle: quello di Donna Concetta, la cui caratteristica è quella di essere sempre lucido e a cui si rivolgono soprattutto le donne che vogliono rimanere incinte, quello del Monacone, anche detto “’a capa ‘e Pascale”, che pare sia in grado di comunicare i numeri vincenti del lotto, e quello del Capitano, forse il teschio più noto in assoluto. La leggenda racconta che una ragazza, che lo pregava spesso, un giorno si portò dietro il fidanzato. Questi derise il teschio, gli infilò il bastone in un’orbita e, per dimostrare che non ne aveva paura, lo invitò al suo matrimonio. Il giorno delle nozze, gli sposi videro avvicinarsi un carabiniere e quando lo sposo gli chiese chi fosse, questi si spogliò e si rivelò essere proprio lo scheletro del Capitano. I giovani sposi morirono sul colpo.

Prima parte   

Gioia Nasti
© Tutti i diritti riservati