Eleonora Pimentel Fonseca, la rivoluzionaria napoletana

La storia di Eleonora Pimentel Fonseca si sviluppa essenzialmente a Napoli alla fine del XVIII secolo, durante il regno borbonico e la gloriosa Repubblica Napoletana del 1799, a cui lei stessa prese parte e della quale fu promotrice e divulgatrice.

Leonor da Fonseca Pimentel Chaves nacque a Roma il 13 gennaio 1752 da genitori portoghesi, che si erano là trasferiti circa due anni prima con la famiglia dello zio paterno. In seguito alla cacciata dei gesuiti dal Portogallo, i Fonseca decisero di lasciare lo Stato Pontificio e trasferirsi a Napoli nel 1760. Eleonora si dimostrò subito una bambina precoce e dotata, in grado di leggere e scrivere latino e greco perfino in tenera età. Guidata dallo zio abate Antonio Lopez, Eleonora ricevette un’educazione così completa che le permise di essere ammessa alle due accademie più prestigiose della città: l’Accademia dei Filaleti e l’Accademia dell’Arcadia. Addirittura, per il matrimonio del re Ferdinando IV con Maria Carolina d’Austria, compose, ad appena 16 anni, un epitalamio dal titolo Tempio della gloria, la sua prima pubblicazione.

Nel 1778 sposò un tenente dell’esercito, Pasquale Tria de Solis, un matrimonio infelice e violento, allietato temporaneamente dalla nascita di un figlio, che però morirà a soli otto mesi, e caratterizzato da aborti spontanei e abusi e violenze.

Fu suo padre a salvarla, permettendole di separarsi e sostenendola moralmente ed economicamente una volta rientrata alla casa paterna. Purtroppo, don Clemente morì l’anno dopo, lasciando la figlia sola e senza denaro, tanto che chiese e le fu riconosciuto un sussidio dal re valevole per 12 mesi. Furono tuttavia mesi di studio intenso, durante i quali anche il rapporto di amicizia con la regina, che pure era stato vigoroso e costellato di partecipazioni a salotti intellettuali illuministi, andò deteriorandosi a causa del suo passaggio politico da filomonarchica e repubblicana.

La rivoluzione francese, che aveva portato alla decapitazione del re e della regina Maria Antonietta, sorella della regina Maria Carolina, aveva fatto giungere a Napoli la paura verso gli intellettuali illuministi e i giacobini. Era stato introdotto per legge il reato d’opinione e la corte si era chiusa in se stessa. Nel 1797 ad Eleonora fu sospeso il sussidio e l’anno dopo fu arrestata con l’accusa di leggere libri messi all’indice e di ospitare riunioni sediziose nel suo appartamento. Fu portata al carcere della Vicaria e fu liberata soltanto quando, entrate le truppe francesi a Napoli e messi in fuga i reali, il popolo prese d’assalto le carceri, permettendo a detenuti comuni e oppositori politici, tra cui Eleonora Pimentel Fonseca, di scappare.

Il 22 gennaio 1799, insieme ad altri componenti del comitato patriottico, il cui scopo era quello di instaurare una repubblica al posto della monarchia borbonica, conquistò il Castel Sant’Elmo sulla collina del Vomero e fondò, diresse e scrisse per il Monitore Napolitano, un giornale che condannava la monarchia borbonica in favore della repubblica. Donna Eleonora credeva davvero nella divulgazione dei principi repubblicani ed era convinta che il popolo stesso andasse educato a questi principi. Per questo aveva in progetto di pubblicare una gazzetta in napoletano e di effettuare una propaganda per il popolo ignorante, ma purtroppo non ci fu il tempo per realizzare questi progetti. La Repubblica Napoletana durò soltanto pochi mesi: il 3 giugno 1799, le truppe sanfediste entrarono a Napoli e sconfissero i repubblicani, mettendo fine al sogno di libertà di un manipolo di patrioti.

Eleonora Pimentel Fonseca fu condannata a morte insieme ad altri suoi compagni, tra cui il principe Giuliano Colonna, l’avvocato Vincenzo Lupo, il vescovo Michele Natale, il sacerdote Nicola Pacifico ed il nobile Gennaro Serra di Cassano. Aveva 47 anni quando fu impiccata in Piazza Mercato.

Gioia Nasti
© Tutti i diritti riservati