Il Vesuvio (2): l’eruzione del 1631

L’ultima eruzione degna di nota, prima del 1631, di cui si hanno notizie certe è quella del 1139, raccontata nelle cronache delle abbazie di Cava e di Montecassino. Nel XV secolo tutta l’area alle falde del Vesuvio cominciò a sperimentare una forte crescita commerciale. Intorno alla metà del secolo successivo, grazie alla politica del viceré don Pedro de Toledo, la nobiltà si trasferì nella città, costruendo le sue ville rustiche ai piedi del vulcano. L’eruzione del 1631 ebbe luogo, quindi, dopo circa 5 secoli, nella notte tra il 15 ed il 16 dicembre. Le prime avvisaglie, costituite da brevi sismi e mancanza d’acqua nei pozzi, c’erano già state settimane prima dell’evento, ma, come per le altre eruzioni, nessuno vi aveva fatto caso. La fase acuta ebbe una durata di due giorni, con attività prevalentemente esplosiva. Sul versante occidentale del Gran Cono si formò una frattura di circa 800 metri, si susseguirono numerosi terremoti, la costa arretrò ed il fango colò dal cratere. A causa del vapore, ci furono piogge fortissime e la lava, prima di arrivare al mare e lì essere fermata, sul suo corso travolse e distrusse Pompei, Ercolano, Torre del Greco e la zona tra Camaldoli e Torre Annunziata.

Questa eruzione fu uno spartiacque nella storia del vulcano e dei territori vesuviani: l’accostamento tra il Vesuvio e l’Inferno è in questo periodo il tema centrale di alcuni trattati, mentre fioriscono nuove leggende, tra cui quella dell’origine di Pulcinella, simbolo di Napoli, nato proprio dalle viscere del Vesuvio. Ma i cambiamenti furono palesi anche sul territorio. L’eruzione aveva distrutto case e strade, sterminato le popolazioni e addirittura lo stesso cratere si era allargato, arrivando a 2,5 km, ed abbassato di circa 400 metri. Eppure la ricostruzione ricominciava nonostante altre eruzioni si succedessero lungo tutto il secolo, studiate e seguite con attenzione da studiosi europei.

Prima parte   

Gioia Nasti
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