Le isole napoletane (1): Nisida

La leggenda
C’era una volta un giovane buono e gentile di nome Posillipo, che tutti amavano e che conduceva una vita serena e spensierata. Finché non conobbe Nisida, una donna tanto bella quanto malvagia, che amava ammaliare gli uomini senza dar loro speranza, solo per il gusto di vederli soffrire. Posillipo si innamorò perdutamente di lei e tentò di tutto, ma invano, per fare breccia nel cuore di pietra. Quando si rese conto che non l’avrebbe mai avuta e che gli era impossibile vivere senza di lei, decise di suicidarsi gettandosi in mare. Ma il destino aveva deciso diversamente e Posillipo si trasformò in un promontorio a picco sul mare dove si infrangevano per sempre le onde. Anche Nisida subì lo stesso destino e fu trasformata in un’isoletta proprio di fronte al promontorio di Posillipo: sarebbero rimasti per sempre l’uno presso l’altra, con Posillipo che avrebbe osservato Nisida senza mai potersi toccare. E forse non è un caso che il promontorio offra uno degli spettacoli naturali più belli in assoluto mentre l’isoletta sia destinata ad accogliere dei prigionieri, a memoria di ciò che entrambi erano stati in vita.

Storia e geografia
Geograficamente parlando, Nisida è un isolotto di tufo di origine vulcanica, il resto di un antico cono eroso dalle mareggiate e dalle correnti e trasformato dalle conseguenze del bradisismo flegreo. La sua eruzione è datata tra 10.000 e 8.000 anni fa, durante quello che i vulcanologi identificano con il Terzo Periodo Flegreo. A sud-ovest si apre Porto Paone, una insenatura creata dalla furia delle mareggiate; poco distanti si trovano le guglie di Ponente e di Levante. Il nome Nisida deriva da Nesis, cioè “isoletta”, ed è infatti un’isola molto piccola che oggi è unita alla terraferma attraverso una sottile striscia di terra. Secondo omero, nel tratto di mare tra Nisida e Capri si trovavano le sirene che avevano ammaliato Ulisse.

Nisida è anche legata al nome di grandi personaggi dell’antica Roma: Stazio, che ne esaltava la ricca vegetazione, Lucano, che parlava delle sue esalazioni mefitiche, Cicerone, che la paragonava a Roma per la sua ricchezza, Bruto, che vi organizzò l’omicidio di Cesare, e Porzia, che vi morì ingoiando dei tizzoni ardenti.

Mentre durante il Medioevo l’isola conobbe un periodo di abbandono, a metà del XVI secolo fu venduta a Giovanni Piccolomini, duca di Amalfi. Qui egli fece costruire, nella parte più alta, un castello, richiamando gran parte dell’alta società napoletana; verso la fine del secolo, Nisida passò al principe di Squillace, quindi, agli inizi del XVII secolo, a Vincenzo Macedonio, marchese di Roggiano.

L’epidemia di peste, nei primi decenni del XVII secolo, la fece considerare come un buon luogo per costruire un lazzaretto, ma problemi burocratici ne bloccarono la realizzazione, nonostante lo stanziamento dei fondi. Solo con il passaggio alla famiglia dei Petroni cominciò per Nisida un periodo di stabilità. Essi ne conservarono la proprietà fino agli inizi dell’Ottocento, costruendo edifici per la esigua popolazione e coltivando ulivi. Quindi l’isola fu acquistata dal demanio e poi ceduta alla famiglia Giustiniani. Un decreto di Murat datato 21 luglio 1814 stabiliva che l’isola fosse ripopolata di conigli e adibita a riserva di caccia; inoltre, fu ordinato l’ampliamento del porto che unisse Nisida all’isolotto di Chiuppino mediante la costruzione di un nuovo molo. Con il ritorno dei Borboni, i decreti furono abrogati, ma alcuni progetti suscitarono interesse, come la trasformazione del Castello Piccolomini in carcere politico, l’ampliamento del vecchio lazzaretto e l’allargamento del porto.

Un tempo sede dell’Aeronautica Militare, oggi l’isola non è accessibile poiché ospita il carcere minorile di Napoli, aperto nel 1934, e un presidio militare della NATO fino al suo trasferimento.

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Gioia Nasti
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