Gli Svevi dopo Federico: Manfredi e Corradino

Nel suo testamento, Federico II aveva nominato suo successore il figlio Corrado, che si trovava in Germania, e reggente fino al suo rientro un altro figlio, Manfredi. Innocenzo IV, però, morto Federico, era ritornato in Italia e, abolendo le leggi imperiali, aveva posto sul trono un podestà, Riccardo Filangieri. Egli aveva già respinto due attacchi di Manfredi quando Corrado IV, arrivato dalla Germania, circondò la città e la espugnò dopo quattro mesi. Ma il suo regno durò soltanto poco meno di un anno e, dopo la sua morte, Innocenzo IV ritornò a governare Napoli. Purtroppo, morì anche lui dopo poco e fu eletto Papa Alessandro IV, il quale, all’avvicinarsi di Manfredi, fuggì lasciando la città in balia dell’aggressore. Napoli, ricordando quanto aveva subito con Corrado, aprì le sue porte al nuovo venuto.
Manfredi governava sempre come reggente, perché Corrado aveva lasciato in Germania suo figlio Corradino, legittimo erede. Quando seppe che il ragazzo era morto, promosse un voto ed i sudditi lo acclamarono re. Manfredi sanciva così la non autorità del Papa sul Regno di Sicilia, ma il diritto di autodecisione del popolo. Alessandro IV non aveva altra arma e lo scomunicò, iniziando così una nuova battaglia tra Papato e Re di Sicilia. Manfredi chiese aiuto ai ghibellini degli altri Stati italiani, mentre Alessandro IV chiese aiuto a Carlo d’Angiò, fratello del re di Francia, Luigi IX. Questi trattò prima con Alessandro poi con Urbano IV e Clemente IV e fu da quest’ultimo incoronato re di Sicilia nel 1266, dopo di che partì alla conquista del suo nuovo regno. Manfredi intanto si era affidato ai baroni per difendere le linee di confine, ma questi lo tradirono, lasciando passare Carlo d’Angiò senza problemi. Così, lasciata Capua, Manfredi tentò di arginare l’invasione nemica sbarrando il passo lui stesso. Carlo fu preso alla sprovvista poiché si vide davanti l’esercito schierato nei pressi di Benevento, avendo l’ala destra poggiata al Tammaro e la sinistra al Calore. Carlo sapeva che il suo esercito era stanco per la marcia e quindi decise di aspettare le mosse del nemico; Manfredi invece era impaziente perché da quella battaglia dipendeva tutto, la sua vita ed il suo regno, così decise di attaccare. L’esito della battaglia gli fu sfavorevole, i cavalieri lo abbandonarono e Manfredi morì combattendo.
Contrariamente a quanto si era creduto, Corradino non era morto e si apprestava a scendere in Italia per reclamare il Regno di Sicilia. Riunì i ghibellini degli Stati italiani e si diresse verso Roma, accolto da una folla festante mentre Clemente IV, dopo averlo scomunicato, scappava. Carlo d’Angiò, pronto a fronteggiare l’esercito di Corradino, lo scontrò nei pressi dell’attuale alveo del Fùcino. I francesi avevano avuto ordini di opporre solo una debole resistenza e poi scappare e così fecero. Contenti della vittoria, i ghibellini si diedero a saccheggiare l’accampamento francese. I cavalieri nascosti uscirono allo scoperto e così anche i fanti fuggiti poco prima, e l’esercito ghibellino fu massacrato. Corradino riuscì a fuggire, cercando rifugio a Pisa; si fermò con altri pochi fortunati presso il Conte Frangipane, che era stato fedele sostenitore degli Svevi. Questi, però, lo tradì per riceverne merito davanti a Carlo d’Angiò e Corradino e gli altri furono portati a Napoli ed imprigionati e condannati a morte. Il 29 ottobre 1268 Corradino fu portato in Piazza Mercato e decapitato a 16 anni mettendo fine alla dinastia degli Svevi.

Gioia Nasti
© Tutti i diritti riservati