I Campi Flegrei (3): i laghi flegrei

Il lago d’Averno
Il più conosciuto dei laghi flegrei è senz’altro il lago d’Averno, un lago vulcanico a 40 cm sul livello del mare; dalla via Domiziana è possibile avere una visione d’insieme di questo specchio d’acqua ellittico che gli antichi avevano identificato con la porta d’accesso agli Inferi. È il secondo per dimensione dei laghi flegrei e durante il XIX secolo fu studiato per il fenomeno della Fata Morgana.

Il nome “Averno” deriva dal greco άορνος, che significa “senza uccelli”; si narra, infatti, che questa assenza di vita fosse causata dalle esalazioni di idrogeno solforato e acido carbonico del cratere non ancora esaurite. Nella religione greca e poi in quella romana, il lago era la porta d’accesso all’Oltretomba, il regno del dio Plutone. Ne è una conferma il VI libro dell’Eneide, in cui Enea scende agli Inferi accompagnato dalla Sibilla Cumana per incontrare il padre Anchise e conoscere il suo futuro. Inoltre, nei pressi del lago si credeva si trovasse anche il paese dei Cimmeri, il leggendario popolo sul cui territorio non sorgeva mai il sole.

Il lago d’Averno si estende su una superficie di 55 ettari ed ha una profondità massima di 34 metri. Si tratta di un tipico cratere-lago circondato, tranne che per la zona meridionale, da tufo rachitico ricco di giacimenti di leucite. Durante l’impero romano le sponde erano coperte di boschi che Marco Vipsanio Agrippa sfruttò per costruire una enorme flotta e il lago stesso si trasformò in cantiere navale, porto e base strategica, grazie ad un canale che lo collegava con il lago di Lucrino e con il mare. Il complesso così collegato fu battezzato Portus Julius in onore di Ottaviano. Purtroppo, pochi decenni dopo la sua costruzione, la base della flotta fu costretta a spostarsi a causa del bradisismo e del conseguente insabbiamento del canale, che lo rese di fatto inutilizzabile.

Cominciò così un lungo periodo di abbandono, che favorì la trasformazione del territorio circostante in pantano, terreno fertile per la diffusione della malaria. Fu l’abate Ferdinando Galiano a interessarsi di nuovo della sua valorizzazione: egli propose, nel XVIII secolo, al ministro borbonico Bernardo Tanucci, di bonificare l’Averno e il Lucrino riattivando il canale di sbocco al mare per il ricambio d’acqua. Il progetto fu accettato solo quasi un secolo dopo, quando Ferdinando II di Borbone decise di riaprire l’Averno alla navigazione e disegnò perfino gli scogli che avrebbero dovuto proteggere i canali di sbocco dall’insabbiamento. L’Unità d’Italia però bloccò i progetti e le opere cominciate rimasero incompiute e furono distrutte.

Oggi il lago d’Averno, sequestrato come bene utilizzato dalla camorra nel 2010, ospita folaghe, svassi maggiori e germani reali, mentre nelle acque vivono le bavose di acqua dolce, i persici, i pesci rossi e perfino delle tartarughe d’acqua domestiche. Inoltre, vi si possono trovare bisce, rane e gamberetti d’acqua dolce.

Il lago di Lucrino
È uno specchio d’acqua salmastra che si estende per circa 10 ettari in prossimità della costa, da cui è separato tramite una sottile striscia di sabbia, una sorta di laguna costiera che un tempo era cinque volte più grande. Questa situazione prospera fu sconvolta, nel 1538, dall’eruzione del Monte Nuovo: la maggior parte della laguna fu sepolta dai materiali eruttati e fu cancellata insieme al villaggio vicino di Tripergole.

In nome “Lucrino” deriva dal latino lucrum (guadagno), relativo ai guadagni ingenti provenienti dall’allevamento di pesci e soprattutto di ostriche presenti del lago grazie al senatore Sergio Orata, di fatto l’inventore degli allevamenti di molluschi con una tecnica ancora oggi in uso per l’allevamento di cozze. Orata divenne talmente ricco e famoso per questa invenzione e per l’ittiocoltura in generale che una varietà di pesci porta ancora oggi il suo nome. Nel I secolo a.C., a causa del bradisismo discendente, le onde del mare si riversarono nel lago, distruggendo gli impianti; fu così creata la Via Herculanea (chiamata così perché, secondo la leggenda, Ercole vi fece transitare i buoi presi a Gerione) per proteggere il lago. Gli allevamenti furono prosperi durante tutto l’impero romano, come si evince anche dalle fiaschette vitree puteolane che raffigurano gli impianti di allevamento delle ostriche.

Nel 37 a.C. la Via Herculanea fu tagliata da Vipsanio Agrippa per permettere la comunicazione tra il mare e il lago di Lucrino, trasformato in porto militare, in modo che le navi potessero entrarvi agevolmente. Il canale, di circa 300 metri, era delimitato da due muri paralleli collegati con un ponte di legno che garantiva la carrozzabilità dell’istmo. Ben presto però il Portus Julius divenne inadatto alle navi da guerra romane a causa del progressivo insabbiamento del lago stesso e la flotta fu trasferita a Miseno. Lucrino rimase però un luogo ameno e meraviglioso, dove sorsero numerose ville di lusso che si estesero fino a Baia e alla magnifica villa imperiale. Purtroppo oggi le ville, il Portus Julius e la Via Herculanea sono sott’acqua per effetto del bradisismo discendente.

Il lago di Lucrino è anche lo scenario di opere di autori antichi, come Virgilio, Orazio, Properzio e Marziale, ma forse il racconto più famoso è quello di Plinio il Vecchio, che narra dell’amicizia tra un bambino e un delfino: i due erano talmente uniti che il delfino accompagnava il bimbo da casa, a Pozzuoli, a Baia e viceversa, facendolo salire sul suo dorso. Un giorno il bambino si ammalò e morì; il delfino continuò ad andare ad aspettarlo, finendo per intristirsi e morire di crepacuore.

In epoca medievale il lago scomparve, inghiottito dal mare a causa del bradisismo e rimase in queste condizioni fino a tutto il XVI secolo. Nel 1538 l’eruzione del Monte Nuovo cambiò totalmente la sua topografia, cancellando il villaggio limitrofo di Tripergole e distruggendo le sorgenti e gli impianti termali che si trovavano nei pressi. Il lago tornò ad essere più o meno come lo si vede oggi.

Oggi Lucrino è una frazione di Pozzuoli caratterizzato da piccoli condomini e graziose villette con giardino intorno al lago o nelle immediate vicinanze.

Il lago di Miseno
Conosciuto anche con il nome di Maremorto a causa del suo interramento, è una laguna costiera che si trova nel comune di Bacoli, tra monte di Procida e Capo Miseno. Ha una profondità massima di appena 4 metri e un’estensione di circa 2800 metri. Il lago è separato dal mare da una barriera sabbiosa ed occupa il fondo di un cratere vulcanico. Prende il nome da Miseno, il trombettiere dell’esercito troiano, fuggito con Enea e annegato tra le onde (Eneide, libro VI). Enea, ritrovato poi il corpo, gli diede sepoltura su quello che diventerà il promontorio di Capo Miseno.

Gli antichi lo identificarono con la Palude Stigia, su cui la barca di Caronte trasportava le anime dei defunti. In epoca romana, il lago faceva parte dell’antico porto di Misenum ed era utilizzato come bacino di costruzione e riparazione delle navi. Dopo la chiusura del Portus Julius divenne la base operativa della flotta militare, che dipendeva direttamente dall’imperatore e che controllava tutto il Mediterraneo occidentale. Tra il lago e la rada di Miseno c’era un canale di collegamento con un ponte girevole, che permetteva anche il collegamento stradale tra Miseno e Baia.

Il lago Fusaro
Formatosi con la chiusura del tratto di mare tra Torregaveta e Cuma, è una palude salmastra semicircolare a 40 cm sul livello del mare, con una profondità di circa 8 metri, separata dal mare da una banchina sabbiosa di quasi 100 ettari. Gli antichi la identificarono con la Palude Acherusia, formata dal fiume infernale Acheronte. Ha tre foci che assicurano il ricambio delle acque: 1) la Foce Vecchia, la più antica, scavata dai romani nella collinetta di Torregaveta, su cui si possono ammirare ancora i resti della villa di Servilius Valius e dei rivestimenti in latericium e opus reticulatum dell’impianto romano descritto da Seneca; 2) la Foce di Nord, costruita dai Borboni nel 1859 per migliorare il ricambio d’acqua lacustre; 3) la Foce Centrale (o di mezza Chiaia), scavata negli anni Quaranta.

Grazie alle sue dimensioni e alla bassa profondità, il Fusaro è stato da sempre utilizzato per l’allevamento dei molluschi. Un tempo, la zona circostante ospitava lecci e pini ed era riserva di caccia di Ferdinando IV di Borbone. Fu proprio lui che fece costruire, su un isolotto del lago, un casino per la caccia e la pesca progettato da Vanvitelli, ora collegato alla sponda tramite un ponticello di legno, ma in precedenza raggiungibile solo con un’imbarcazione. La Casina Vanvitelliana (come viene chiamata oggi) è visitabile e mostra ancora qualche pezzo dell’antico mobilio: un tavolo tondo, un lampadario, un camino, sui quali campeggia una conchiglia, simbolo dei Borboni.

I campi ardenti   –   La Solfatara   

Gioia Nasti
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